giovedì 22 novembre 2012

Conclusione e conclusioni del processo analitico


La conclusione è parte fondamentale del processo analitico. È implicitamente già presente dall’inizio di una terapia, in quanto una relazione terapeutica è una relazione “a termine”.
Nella teorizzazione psicoanalitica classica, la conclusione era stata inizialmente sottovalutata da Freud. Nel tempo, però, egli è arrivato a concettualizzare il processo analitico come una continua ed approfondita analisi di transfert. Di conseguenza, una volta risolto il transfert, e quindi elaborato e “svelato” il rimosso, era possibile concludere una terapia. In quest’ottica, il processo di separazione era unilaterale; era cioè il paziente che si separava dal terapeuta. L’aspetto controtransferale non veniva sottolineato.
Nelle concezioni attuali, e nell’ottica intersoggettivista in particolare, la separazione finale avviene a due livelli: interattivo e meta-interattivo.
Il livello interattivo è quello reale, quello cioè della separazione tra due persone. Qui, a differenza della teoria classica, non è solo il paziente che si separa dal terapeuta, ma è anche il terapeuta che si separa dal paziente, in quanto persone, individui.
Il livello meta-interattivo è invece quello asimmetrico, nel quale si separano una persona esperta ed una che non lo è. Da questo punto di vista, la conclusione fa emergere la teoria del paziente sulle separazioni.
In questo senso, la conclusione viene intesa sia come fase processuale, sia come evento specifico, di separazione reale. Perché la conclusione sia una fase utile e significativa del processo analitico, bisogna fare una buona valutazione del momento adatto per quel particolare paziente, nonché arrivare al raggiungimento di alcuni obiettivi propri di questa fase.
Per capire quando ipotizzare una conclusione, ci si può affidare ad alcuni criteri; in particolare alla valutazione della teoria emotiva del paziente, cioè se si è passati da un’organizzazione rigida e limitata ad una ampia e flessibile. In linea con questa considerazione, gli obiettivi di questa fase sono: il consolidamento e l’integrazione dei nuovi convincimenti emotivi, l’acquisizione della multimodalità, della capacità di contestualizzazione, nonché l’acquisizione del senso di separatezza ed alterità e l’acquisizione della consapevolezza delle proprie azioni.
In linea teorica, quindi, quando in un contesto analitico sussistono i criteri per poter pensare ad una conclusione, paziente e terapeuta decidono insieme che è tempo di terminare, fissano una data, ed affrontano insieme il processo della conclusione.
Calando, però, la teoria all’interno della clinica, si può osservare che non sempre le cose funzionano così.
Infatti non sempre si arriva all’ultima seduta avendo fatto tutto ciò che era possibile fare a quella specifica coppia paziente/terapeuta. In altri casi, la conclusione può avvenire in fasi diverse, oppure può non avvenire mai. Si parla quindi di interruzione, e non di conclusione.
Se ciò avviene in fase iniziale, probabilmente è a causa di un eccesso di dissimilarità tra paziente e terapeuta, tale da non consentire l’attivazione della relazione. In fase centrale un’interruzione è probabilmente dovuta ad una difficoltà del terapeuta a rimodellare il campo. In fase finale, di fronte alle difficoltà di separazione, è possibile assistere ad una conclusione agita (cioè il paziente che termina prima della data concordata), oppure alla non-conclusione, cioè all’instaurarsi di una terapia a vita, nella quale la conclusione viene sempre rimandata.
Già da queste osservazioni, si può capire come la clinica sia molto più “variabile” rispetto alla teoria. Così come la terapia va costruita “su misura”, cioè adattata a quella particolare coppia terapeutica, anche la conclusione sarà su misura.
Innanzitutto bisogna considerare che il punto di arrivo di ogni paziente sarà diverso, anche in base al quadro relazionale di appartenenza. Cioè, un paziente appartenente al quadro razionalizzante, potrà avere risultati ben diversi da un paziente appartenente ad un quadro ostile-abusante. Questo anche in base al quadro di appartenenza del terapeuta. È quindi necessario riuscire ad effettuare una diagnosi della coppia terapeutica, per capire fino a che punto potranno arrivare, quali relazioni saranno attivabili.
Inoltre, ogni coppia troverà la propria modalità di concludere, oltre che in base ai quadri di appartenenza, anche in quanto persone, con la propria soggettività. Infatti ogni terapeuta avrà una propria modalità, che sarà adattata ad ogni singolo paziente.
In questo senso possiamo parlare di conclusioni, al plurale.
Infatti, tenendo sempre ben presente la conclusione dal punto di vista teorico e tecnico, è impensabile il non adattarla ad ogni individuo, creando così infinite conclusioni, una per ogni coppia paziente/terapeuta.