La conclusione
è parte fondamentale del processo analitico. È implicitamente già presente dall’inizio
di una terapia, in quanto una relazione terapeutica è una relazione “a termine”.
Nella teorizzazione
psicoanalitica classica, la conclusione era stata inizialmente sottovalutata da
Freud. Nel tempo, però, egli è arrivato a concettualizzare il processo
analitico come una continua ed approfondita analisi di transfert. Di conseguenza,
una volta risolto il transfert, e quindi elaborato e “svelato” il rimosso, era
possibile concludere una terapia. In quest’ottica, il processo di separazione
era unilaterale; era cioè il paziente che si separava dal terapeuta. L’aspetto
controtransferale non veniva sottolineato.
Nelle concezioni
attuali, e nell’ottica intersoggettivista in particolare, la separazione finale
avviene a due livelli: interattivo e meta-interattivo.
Il livello
interattivo è quello reale, quello cioè della separazione tra due persone. Qui,
a differenza della teoria classica, non è solo il paziente che si separa dal
terapeuta, ma è anche il terapeuta che si separa dal paziente, in quanto
persone, individui.
Il livello meta-interattivo
è invece quello asimmetrico, nel quale si separano una persona esperta ed una
che non lo è. Da questo punto di vista, la conclusione fa emergere la teoria
del paziente sulle separazioni.
In questo
senso, la conclusione viene intesa sia come fase processuale, sia come evento
specifico, di separazione reale. Perché la conclusione sia una fase utile e
significativa del processo analitico, bisogna fare una buona valutazione del
momento adatto per quel particolare paziente, nonché arrivare al raggiungimento
di alcuni obiettivi propri di questa fase.
Per capire
quando ipotizzare una conclusione, ci si può affidare ad alcuni criteri; in
particolare alla valutazione della teoria emotiva del paziente, cioè se si è
passati da un’organizzazione rigida e limitata ad una ampia e flessibile. In linea
con questa considerazione, gli obiettivi di questa fase sono: il consolidamento
e l’integrazione dei nuovi convincimenti emotivi, l’acquisizione della
multimodalità, della capacità di contestualizzazione, nonché l’acquisizione del
senso di separatezza ed alterità e l’acquisizione della consapevolezza delle
proprie azioni.
In linea
teorica, quindi, quando in un contesto analitico sussistono i criteri per poter
pensare ad una conclusione, paziente e terapeuta decidono insieme che è tempo
di terminare, fissano una data, ed affrontano insieme il processo della
conclusione.
Calando,
però, la teoria all’interno della clinica, si può osservare che non sempre le
cose funzionano così.
Infatti non
sempre si arriva all’ultima seduta avendo fatto tutto ciò che era possibile
fare a quella specifica coppia paziente/terapeuta. In altri casi, la
conclusione può avvenire in fasi diverse, oppure può non avvenire mai. Si parla
quindi di interruzione, e non di conclusione.
Se ciò
avviene in fase iniziale, probabilmente è a causa di un eccesso di dissimilarità
tra paziente e terapeuta, tale da non consentire l’attivazione della relazione.
In fase centrale un’interruzione è probabilmente dovuta ad una difficoltà del
terapeuta a rimodellare il campo. In fase finale, di fronte alle difficoltà di
separazione, è possibile assistere ad una conclusione agita (cioè il paziente
che termina prima della data concordata), oppure alla non-conclusione, cioè all’instaurarsi
di una terapia a vita, nella quale la conclusione viene sempre rimandata.
Già da
queste osservazioni, si può capire come la clinica sia molto più “variabile”
rispetto alla teoria. Così come la terapia va costruita “su misura”, cioè
adattata a quella particolare coppia terapeutica, anche la conclusione sarà su
misura.
Innanzitutto
bisogna considerare che il punto di arrivo di ogni paziente sarà diverso, anche
in base al quadro relazionale di appartenenza. Cioè, un paziente appartenente
al quadro razionalizzante, potrà avere risultati ben diversi da un paziente
appartenente ad un quadro ostile-abusante. Questo anche in base al quadro di
appartenenza del terapeuta. È quindi necessario riuscire ad effettuare una
diagnosi della coppia terapeutica, per capire fino a che punto potranno
arrivare, quali relazioni saranno attivabili.
Inoltre,
ogni coppia troverà la propria modalità di concludere, oltre che in base ai
quadri di appartenenza, anche in quanto persone, con la propria soggettività. Infatti
ogni terapeuta avrà una propria modalità, che sarà adattata ad ogni singolo
paziente.
In questo
senso possiamo parlare di conclusioni, al plurale.
Infatti,
tenendo sempre ben presente la conclusione dal punto di vista teorico e
tecnico, è impensabile il non adattarla ad ogni individuo, creando così
infinite conclusioni, una per ogni coppia paziente/terapeuta.